Il mondo contemporaneo è agitato da una serie di problemi che la cronaca quotidiana ci pone talora drammaticamente sotto gli occhi e uno dei temi di maggiore attualità è sicuramente quello dei cambiamenti climatici globali.
L'effetto più avvertibile e più concreto, e quindi più alla portata dell’opinione pubblica di questi cambiamenti in atto, è sicuramente “la crisi o il collasso” della criosfera (cioè l’insieme del ghiaccio terrestre). Dai ghiacciai delle catene montuose che si riducono di spessore e di superficie e si estinguono, alle gigantesche piattaforme dell’Antartide che si frammentano, alla banchisa di ghiaccio marino che si riduce, al permafrost (suolo gelato) che fonde sempre più rapidamente.
Sono numerosi i segnali di un sistema ambientale che sta cambiando e che sta accelerando i propri ritmi evolutivi. Una corretta divulgazione e tempestiva comunicazione di questi eventi non sempre sono facili, anche a causa delle incertezze che la scienza non ha ancora completamente superato.
La tendenza all’incremento delle temperature in corso a livello planetario da almeno un secolo, ha subito negli ultimi due decenni un’accelerazione capace di rapide e ben evidenti conseguenze, tanto sui sistemi naturali coinvolti che sui sistemi antropici (le modifiche apportate dall’uomo al territorio).
In rapporto a ciò, le diverse componenti, tra cui i ghiacciai,reagiscono a queste modifiche in diversi modi. È la prima volta che l’uomo moderno si trova di fronte a queste reazioni e a confrontarsi con le conseguenze reali di una deglaciazione.
La ricerca dispone al momento di un’importante e molto significativa serie pluriennale di dati climatici e glaciologici: temperature, precipitazioni nevose e, per anni più recenti, dati direttamente glaciologici. Almeno 35 stazioni alpine raccolgono dati di questo tipo da molti decenni, solo in Italia. Il dato dell’aumento medio di oltre un grado della temperatura degli ultimi 150 anni sulle Alpi non dice molto per i non esperti, mentre sono i dati relativi alle precipitazioni e al ritiro della superficie dei ghiacciai ad essere più comprensibili e a dare un’idea del problema anche ad un pubblico non esperto. Un parametro molto studiato è la nevosità media, che è ovunque diminuita, in misura diversa nelle aree regionali, ma con punte medie locali di diminuzione del 30-40% negli ultimi 20 anni e una media statistica di oltre il 18%. La situazione peggiore si è registrata nelle Alpi occidentali e in Veneto-Friuli.
Il meccanismo in corso è costituito soprattutto da una crescente ablazione (riduzione di volume) dei fronti dei ghiacciai, data dalla fusione e dal distacco di blocchi di ghiaccio dalla parte terminale dei ghiacciai, non controbilanciata da un adeguato accumulo di neve durante la stagione invernale. Altri meccanismi meno semplici da spiegare, contribuiscono alla deglaciazione in modo significativo.
Effetti meno evidenti del riscaldamento globale riguardano le specie animali e vegetali, che, più dei ghiacciai, sono in grado di adattarsi parzialmente a questo fenomeno.Gli effetti più chiari si notano sulle specie botaniche, in particolare sui versanti esposti a sud delle Prealpi, nei quali si assiste ad un rapido innalzamento della quota media di presenza di alcune essenze. Per ciò che riguarda l’attuale fauna alpina, si possono citare gli esempi dello stambecco, della pernice bianca, della lepre variabile e dell’ermellino. Nel caso degli ultimi tre, è evidente il ruolo diretto della diminuzione dell’innevamento e dell’habitat idoneo per la sua strategia mimetica invernale, che garantisce protezione dai predatori.
Dalla preistoria abbiamo la testimonianza che nel periodo interglaciale di circa 40.000 anni fa il clima era estremamente caldo, e il limite degli alberi (oggi a circa 1900 metri) raggiungeva forse i 2800 metri, come dimostrato dal ritrovamento di decine di resti di orsi nella grotta delle Conturines in Alta Val Badia, avvenuto nel 1987 a seguito della riduzione del nevaio. Difatti la grotta con una profondità di circa 200 metri è ubicata a circa 2750 metri, con oggi i suoi dintorni privi di vegetazione, dove al presente gli orsi erbivori non avrebbero di che vivere e solo poche specie di piante rupicole riescono a dare una loro saltuaria presenza, a conferma del cambiamento climatico.
Anche il ritrovamento del 1991 della mummia di “Otzi”, attribuibile all’età del rame, sul ghiacciaio della Val Senales (a 3.200 metri) è stato possibile grazie al cambiamento climatico, in un periodo di forte ablazione del ghiacciaio aiutati dal clima mite. Otzi e gli artefatti del suo equipaggiamento ci hanno comunicato importanti informazioni sui ghiacciai durante una fase di clima mite nella prima parte dell’Olocene (è l’epoca geologica più recente, quella in cui ci troviamo oggi e che ha avuto il suo inizio convenzionalmente circa 11.700 anni fa).
Per dare un contributo a questa divulgazione, è stato organizzato per aprile-maggio 2013 un ciclo di incontri con alcune uscite in ambiente (alla caverna delle Conturines, al ghiacciaio dell’Antelao e al ghiacciaio della Marmolada), dedicato alla tematica delle relazioni fra l’evoluzione del clima e la “salute” dei ghiacciai, con particolare attenzione alle regioni delle Alpi Orientali.
Uomo e montagna tra cambiamenti climatici e ghiacciai
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