Club Alpino Italiano
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"Seven Summits"

17 agosto 2011. Dopo 39 ore e 45 minuti, scendendo da Monte Pizzoc verso Serravalle, ho concluso l’Alta Via n.6 delle Dolomiti (AV6). Si tratta di un lungo tracciato escursionistico in quota che parte dal Monte Peralba, sul confine austriaco, per giungere a Vittorio Veneto dopo oltre 150 km (escluse le varianti) ed almeno 9.000 m di dislivello. Solitamente questo percorso impegna i viandanti in un cammino di almeno dieci giorni invece, il mio viaggio, come da tradizione, si è svolto di corsa e in meno di due giorni.

Sono “sceso” dalle Sorgenti del Piave verso la pianura senza alcun problema. Conoscevo bene il percorso avendolo già tentato nel 2009 e l’esito sembrava fin troppo scontato. Mi sembrava di una semplicità disarmante, in confronto alle insidie celate nell'ambiente alpino, ma allo stesso tempo esaltante, pensando al mio progetto che andava concludendosi. Tutto scorreva liscio, come un paesaggio visto dal finestrino del treno. Poi, verso il promontorio che sovrasta la pianura trevigiana, è riemerso il problema che mi aveva fermato 2 anni fa. Pareva aver fatto capolino una di quelle “maledizioni cinematografiche”. La tendinite c'era, davvero, ed emergeva prepotentemente. Fino a quel momento avevo sempre tenuto sotto controllo il piede destro, quello debole, cercando di farlo ruotare in modo ottimale e invece, contro ogni aspettativa, il problema si era presentato sul sinistro. Mancava poco alla fine, non potevo desistere. Avevo già corso troppe ore per buttare tutto all'aria. Inoltre concludere questa avventura non significava solamente terminare la corsa ma anche ultimare il mio "Progetto Alte Vie".

Tutto iniziò nel 1995 quando, con l'amico Pietro, percorsi l'intera l'Alta Via dell'Alpago (AV7) che collega, attraverso le creste, il Rifugio Dolada a Malga Pian Lastre. L'itinerario, tortuoso e poco scorrevole, ci mise a dura prova. Armati di scarpe escursionistiche e fotocamera reflex al seguito, impiegammo 14 ore e 40 minuti. Avevamo dato il meglio di noi ma evitando di oltrepassare quel limite che, in caso di difficoltà, ci avrebbe comunque permesso di scendere con le nostre forze. Era il 6 agosto e venti giorni dopo si sarebbe svolta la prima edizione del Kima, competizione in quota (a quel tempo) più impegnativa in Italia.

Negli anni gli appuntamenti di questo genere sarebbero aumentati e alcuni ultramaratoneti avrebbero abbandonato temporaneamente la loro principale aspirazione, così come degli skyrunner poco propensi ad un’attività tanto frenetica. Da parte mia, dopo il Kima del 1996, feci uno stop podistico di 7 anni. Un problema al piede sinistro non mi permetteva di correre sull’asfalto per più di cinque chilometri. Avrei dovuto attendere il 2003 per riprendere quest’attività, guarito, o quasi. Cinque anni dopo, nel 2008, riuscii a raggiungere Piazza Duomo a Belluno partendo dal Lago di Braies.

Avevo corso L’Alta Via n.1 (AV1), la più conosciuta Alta Via delle Dolomiti, in meno di 24 ore, obiettivo già tentato da molti e così facendo, avevo raggiunto il "mio Everest", senza corde fisse, ossigeno e portatori. Ero... soddisfatto. Il punto d'arrivo si trasformò in breve tempo in un punto di partenza. Mi sarebbe piaciuto correre anche le altre alte vie che mi mancavano: le mie “Seven Summit” (in alpinismo, la cima più alta di ogni continente).

AV3, AV4 e AV5 rientravano nelle mie potenzialità, mentre AV2 e AV6 mi apparivano oltre il livello dell'UTMB (il giro completo del Monte Bianco). Compresi così che per poterle portare a termine avrei dovuto superare il “muro” delle 24 ore di corsa, limite che mi ero ragionevolmente posto molti anni prima.

Dedicai il 2009 ad esplorare e tentare infruttuosamente AV6. Il progetto si allontanava. Per riuscirci mi sarebbero servite delle energie “alternative”, un approccio forse fuori moda, una mentalità più... "montanara", tranquilla e autosufficiente, che si allontanava da quella tipica del mondo delle gare odierne.

Nel 2010 ecco la svolta. Dopo un'entusiasmante AV3 da Villabassa a Longarone (Podenzoi), corsa in gran parte in solitaria (17 ore), tentai AV2. Quest’ultima mi vide partire da Bressanone (Valcroce). Mancava la luna e c'era qualche fiocco di neve. Non conoscevo molto quei sentieri che mi avrebbero condotto a Feltre (Croce d'Aune). Fu una piacevole traversata dalla lingua tirolese, verso la ladina, per giungere alla veneta. Impiegai, nonostante una serata turistica al Passo Valles, 40 ore. Avevo corso con facilità anche il secondo giorno, superando i miei primi 150 km e 10.000 m di dislivello.

Con il morale alle stelle, sul finire dell'estate, mi impegnai anche nell’AV4. Una via “compatta”, meno di 100 km tra S.Candido e Pieve di Cadore (15 ore). Partii con il buio, pioveva. Nella mattinata arrivò il sole ad illuminare le 3 Cime e il Sorapiss. Non c'era nessuno con me. Feci un solo rifornimento all'Albergo Cristallo e per il resto, mi alimentai ad acqua di sorgente e qualche panino.

Al termine di quella stagione avevo capito che per questo genere di avventure, dove gli avversari sono di “roccia” e non in carne ed ossa, non servivano gli “indispensabili” integratori commerciali. L'importante era “entrare” nella montagna, così da sentirsi in sicurezza anche quando si procedeva in solitaria per molte ore, avendo la possibilità di vivere un'emozione più sana. Staccarmi dalla “civiltà” mi serviva per cercare di capire il giusto ritmo, quell'andatura ottimale, quasi un "moto perpetuo" che mi avrebbe permesso di raggiungere la meta senza faticare.

In questo 2011 il mio programma era oramai evidente. Appena la neve me lo ha consentito (fine luglio) ho percorso AV5, la traccia che mi ha condotto a Calalzo (a Pieve ero già arrivato con AV4), partendo da Sesto Pusteria (17 ore e mezza). Per evitare un tratto in comune con altre Vie, ho inserito la più appagante Traversata Nord delle Marmarole. Nel finale l'arduo Passo del Camoscio, condiviso con Roberto (nel 2010 in esplorazione con Stefano), ha dato al mio compagno quel valore aggiuntivo che, a mio avviso, gli è valso l'appellativo di "Capitan Barancio", una sorta di "Patentino dell'ultratrailer", da conferire a chi sia capace di navigare con naturalezza anche su terreni come la Strada Sanmarchi, lontano dagli schemi tradizionali.

13 agosto 2011 ore 2.30. Mi trovo alle Sorgenti del Piave per tentare la "tappa finale", l'ultima Alta Via che ancora mi manca: la n.6. Muovo i primi passi in compagnia di Roberto. Ignazio, l'immancabile autista, scompare nella penombra. E' una notte di luna piena. Il Peralba dietro di noi è illuminato a giorno. Davanti, invece, la silhuette del Passo del Mulo ci indica la traiettoria per Sappada. Le mucche dormono, il loro pascolare diurno ha confuso la traccia. In breve, "fortunatamente nascosti" dalla visuale del rifugio, ci troviamo a galleggiare (fuori rotta) su una zona umida. Dopo aver abbondantemente inzaccherato le scarpe, riprendiamo il sentiero.

L'alba ci coglie oltre Sappada, sulle pendici di Forcella Elbel. Le condizioni meteo non sembrano annunciare una buona giornata. Anche la stradina erbosa che 2 anni fa ci aveva condotto a Sella Ciampigotto non gode di ottima salute: è una "fangovia". L'importante lavoro di disboscamento, compiuto in questo periodo, ha trasformato il tracciato in una strada amazzonica. Una melma appiccicosa che risucchia le nostre scarpe. Verso le 8.00 del mattino raggiungiamo l'asfalto del Rifugio Fabbro. Roberto mi lascia, lo attende un'intensa giornata in famiglia.

Io proseguo sul "nuovo sentiero" che, secondo gli esperti del luogo, dovrebbe accorciarmi il trasferimento a Casera Doana. Parto ma non individuo la scorciatoia. Davanti a me un canalino ghiaioso, sulla sinistra, una flebile traccia di mucche che taglia il pendio. Scelgo la seconda "Sicuramente mi porterà alla malga". "Sarà una traccia di transumanza usata dai malgari per evitare l'asfalto", mi dico. Scorrono i minuti. La traccia è molto logica. Comprendo però che i quadrupedi che sto inseguendo non possono essere bovini ma cerco di adeguarmi al loro gioco. Mi sto ormai avvicinando alla stradina sterrata che porterà alle stalle. Esco dal bosco e scopro che la "mia” valle è un'altra ma... non importa. Mi lascio trascinare dai camosci verso una forcelletta ripida, qui è tutto un pullulare di vita. Insetti di ogni genere e specie mi assalgono. "Se mi va bene", penso, "più che da un morso di vipera dovrò guardarmi da uno shock anafilattico!". Aggrappandomi ad erbacce più alte di me guadagno Forcella Sella. Sono fortunato, posso continuare e scendere ad ovest verso Casera Lavazeit per intercettare il sentiero "ufficiale". Continuo, ancora il nulla però. Perdo e ritrovo le impronte "amiche" che mi svelano passaggi impossibili che si materializzano davanti il naso. Dopo 2 ore e mezza ritrovo la via. In breve raggiungo l'Albergo Cristallo.

Incontro Ignazio un poco preoccupato per il mio leggero ritardo. Lo tranquillizzo spiegandogli che mi è andata bene, sono le 11.00 del mattino, posso ancora raggiungere Erto in serata. Il mio viaggio prosegue oltre il Rifugio Giaf, verso Forcella Urtisiel, quindi, in discesa nella Val Meluzzo.

Ore 14.00, Rifugio Pordenone. Chiedo un parere ad Ivan (Da Rios – n.d.r.) per effettuare la traversata Cima dei Preti - Duranno. Pur offrendomi una fetta di dolce, da buon gestore, non mi nasconde le sue perplessità. Il suo tono non è deciso, sa che sono parole buttate al vento... Sceso a Pian Fontana inverto la pendenza verso forc.Compol. Ora marcio accompagnato dal passo sicuro di Gabriele, in questi luoghi isolati non serve solo la resistenza fisica. Non dobbiamo perdere la concentrazione se vogliamo uscire dalle difficoltà prima del buio. Un errore di tracciato o un calo di fiducia in noi stessi ci potrebbero far pernottare al Bivacco Greselin. Teniamo sotto controllo il meteo, anche se contro di lui… non abbiamo molte armi. Superiamo le situazioni più ardue, come previsto, e alle 21.30 posso sedermi a mangiare nei pressi di Erto.

Mi concedo pure qualche ora di riposo, poiché non è consigliabile procedere con il buio, da soli, oltre casera Ditta. La luna piena entrando dal finestrino dell'auto mi crea qualche disturbo ma gli effetti del vino assaggiato durante la frugale cena (mi trovo sempre a Erto) favoriscono il sonno.

Alle 3.40, di domenica mattina, preparato lo zaino, riprendo a macinare chilometri. Superati anche alcuni disguidi logistici, riesco finalmente a puntare la traiettoria a sud verso la Val Mesaz. Mi destreggio nel torrente ancora avvolto nella penombra e tutto il lavoro di ricognizione che avevo svolto nel 2009 mi torna molto utile. Nella parte finale della salita, in prossimità di For-cella Lastra, trovo persino i miei "bollini gialli", segni che avevo posto nei punti più strategici, dove a quel tempo mancava la segnaletica.

Raggiunta la sella ed entrato quindi in Alpago, il sole ancora debole mi permette di scorgere in lontananza i monti trevigiani. Il Pizzoc sembra una lunga rampa inclinata. Le difficoltà sono oramai alle spalle, "Si va a casa!"mi auguro.

Sceso in paese, dopo aver "seminato" i miei accompagnatori (in auto), mi dirigo a Casera Pal. L'esperienza dello scorso anno mi è stata molto utile. La muscolatura è ancora integra, lo stomaco è quasi perfetto... Mi sento bene.

Inserisco ora il "vecchio 39" per salire verso il Rifugio Semenza. Pietro è con me, mi seguirà nella traversata verso Campon. E' l'amico con il quale condivisi AV7 nel '95, l'Alta Via che in questo momento passa sopra le nostre teste. Esaurito il proprio compito, il compagno cede il testimone a Valentina che mi terrà compagnia durante il trasferimento a Vallorch.

Sono le 13.00, l'altopiano del Cansiglio è invaso da migliaia di persone intente a mangiare, alcune già preoccupate a dormire sotto l'ombra mentre altre, che evidentemente le "ombre" le bevono, possono contare nel pronto intervento dell'ambulanza parcheggiata sulla strada.mIo invece, che non ho mangiato e non ho dormito... mi devo arrangiare. Nei pressi del villaggio cimbro finisce la pianura e reinserisco le “marce ridotte" per l'ultima ascesa finale. Valentina lascia la bici e tenta di sfiancarmi con la sua fresca falcata. Io, cercando di fare l'oratore, tento di farle apprezzare l'unicità del vallone Vallorch. Ora ci troviamo attorniati da un muschio rigoglioso, piante con foglie che sembrano ombrelli e alberi di cui non si vede la cima mentre, tra poco, oltre il valico... scenderemo nella “torrida” pianura. Usciti dal bosco notiamo in lontananza parecchi amici a presidiare la sella e pronti a rivolgerci l'ultimo incoraggiamento.

Nella discesa finale emerge prepotentemente la tendinite. Scendo tranquillo grazie all’aiuto dei bastoncini, il sole ancora alto nel cielo mi lascia tutto il tempo che mi serve per salvaguardare il piede. In fin dei conti attraversare tutte le Dolomiti di giorno ma anche di notte, con il sole e anche con pioggia o neve, guadagnando solamente una leggera tendinite o qualche bruciatura al collo, dovrebbe rappresentare un bilancio positivo.

Prima della scalinata finale mi concedo un breve momento di raccoglimento alla chiesetta di S.Augusta, c'è sempre qualcuno da ringraziare.

Alle 18.15, nei pressi della fontana di Serravalle si concludono le avventure (AV6 e “Seven Summits”). Non ci sono giudici, majorette o avversari: solo Ignazio, Pietro,Valentina e la scritta “END”. E' un arrivo diverso, "alternativo", molto più importante per me.

Mentre termino queste righe suonano le campane della Caminada (una chiesetta vicino alla mia abitazione). Sono le 17.00 e come ogni pomeriggio a quest'ora, si diffondono le note della "Canzone del Piave", il fiume dalla cui sorgente sono partito e che ho, in parte, seguito fino a S.Polo di Piave.

Immagini (dall'alto in basso):

  • Sosta a Sappada
  • Il Passo del Gatto
  • Flavio a forcella Lastè
  • Discesa in Val Salatis
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